In questi tempi molto dolorosi dominati dal Covid si vorrebbe allontanare la tristezza (insieme alla paura, all'ansia e alla rabbia), ma potrebbe rivelarsi utile dare alle emozioni lo spazio e l'attenzione che meritano, considerando la possibilità di invitarle a sedersi tranquillamente accanto a sé. Solitamente la combattiamo e la consideriamo uno stato negativo, ma la tristezza fa parte della vita ed è necessario riconoscerla e occuparcene con rispetto e senza risentimento, anziché combatterla e cercare di mandarla via.
A causa della pandemia in atto molti esercizi commerciali hanno dovuto chiudere i battenti e le saracinesche abbassate si susseguono lungo le strade: magari non si è neppure mai entrati in quel negozio, però esso è stato parte della vita quotidiana; personaggi famosi sono recentemente scomparsi: non si era neppure loro fan eppure la loro scomparsa ricorda la vulnerabilità dell’esistenza umana.
Possiamo sentirci tristi ogni qual volta vi sono dei cambiamenti della vita per il senso di perdita che essi comportano: così quando i figli crescono e diventano indipendenti; così quando la donna entra in menopausa o quando l’età avanzata si fa sentire attraverso le articolazioni del corpo irrigidite.
Molti aspetti della vita sono davvero difficili e nessuno si sente sempre felice o positivo: se ci si aspetta di essere sempre “perfetti” può sembrare "ridicolo" o "sbagliato" non riuscire a superare un disagio, una perdita o una battuta d'arresto sul lavoro. La generazione dei "millennials" spesso si giudica per non essere felice: "ho un ottimo lavoro e un ragazzo adorabile, quindi perché non sono felice?", come se la felicità fosse un dato di fatto.
L’autocritica dei propri sentimenti può essere molto dannosa: "è ridicolo sentirsi così, sono solo uno sciocco, dovrei essere felice e invece non lo sono”. Gli uomini se si sentono tristi o ansiosi si giudicano deboli; le donne tendono a giudicare la rabbia come sbagliata e non "bella" e sono molto più inclini al rimuginio o all'autolesionismo come modalità per soffocare i sentimenti che desiderano non avere.
Cercare di spiegare una sensazione di tristezza sconosciuta a un'altra persona può essere difficile e frustrante. Spesso questo può portare a dirsi che la tristezza deve essere irreale, o che una mancanza di spiegazione significa che non è valida. Ma la tristezza non ha sempre un movente razionale o visibile e può apparire nei momenti più inaspettati. E non è raro trovare tristezza all'interno della felicità, così come il contrario.
Spesso si teme che "cedere" a un umore triste possa portare alla depressione, o concedersi un pianto liberatorio sia segno di debolezza ma, come insegna Jon Kabat-Zinn ("l'accettazione è un processo molto attivo, non c'è nulla di passivo al riguardo. L'accettazione non significa che non possiamo lavorare per cambiare, ma significa che se non accettiamo le cose così come sono, cercheremo di forzare le cose ad essere come non lo sono e questo può creare un'enorme quantità di difficoltà”), l'antidoto può derivare dall’essere gentili con se stessi e praticare l'arte dell'auto-compassione e dell'accettazione.
L’istinto potrebbe essere quello di spingere via, allontanare da sé i sentimenti dolorosi come ansia, panico e tristezza: imparare l'auto-compassione e l'accettazione di se stessi significa accettare le emozioni senza giudicarle. Il “metodo KonMari” di riorganizzare e il “decluttering” suggeriscono di dire "grazie e arrivederci" a vecchi vestiti e oggetti. Può essere considerato sentimentale, ma gli oggetti possono agire come testimoni silenziosi della vita e talvolta si tende ad instillare su di loro un significato profondo, anche se fuorviante.
Il cambiamento può quindi far sentire anche tristi, ma dare un po' di spazio alla tristezza può risultare confortante. Occorre pensare al corpo come a una casa con molte stanze tra cui scegliere: può essere utile avere una “stanza della tristezza”, visualizzata e sentita come molto leggera, magari abbellita da fiori freschi e con finestre che guardano su un prato verde vasto e ben tenuto. Occorre concedersi il permesso di sedersi in questa stanza ogni volta che ci si autorizza a sentirsi triste, perché “permettere la tristezza” è una forma di auto-compassione che offre amicizia e un'accoglienza gentile, in modo che tale emozione possa trovare il tempo necessario per disperdersi e ripresentarsi nuovamente quando richiederà gentile attenzione.
Piccole mosse per accogliere la tristezza:
A volte la tristezza che si presenta è radicata nel passato della persona: un percorso di psicoterapia può offrire un ambiente imparziale, non giudicante e sicuro in cui esplorare come le esperienze passate e presenti possano aver influenzato i sentimenti di tristezza e può rappresentare una preziosa opportunità per ridurre l’intensità, tollerare e gestire le emozioni e per trovare soluzioni che siano sostenibili ed efficaci per la persona.
Per saperne di più o per prendere un appuntamento è possibile utilizzare l’apposito modulo oppure contattarmi via e-mail o telefono.
Dr.ssa Daria Carli Giori
Psicologa, Psicoterapeuta, Terapeuta EMDR a Sesto Calende (VA)